Descrizione
Il Monastero con annessa la chiesa di S.Maria oggi chiesa del Crocefisso, è il primo monumento religioso di Marineo. Fu edificato agli inizi della baronia di Gilberto Beccadelli mentre si edificavano le prime case e il lavatoio pubblico “Gurghiddu”. L’iniziativa era stata del Barone Francesco Beccadelli che notando il forte incremento della popolazione e la rapida espansione del paese, si era rivolto ai Padri Olivetani del Monastero di “S.Maria del Bosco” di Bisacquino per avere, a Marineo, una guida pastorale.
Il sei Luglio del 1556, dopo tre anni dall’inizio dell’insediamento e nove giorni prima della morte del Barone Francesco, da Gilberto Beccadelli (che due giorni prima era stato investito della baronia di Cefalà) e dall’abate del Monastero di S.Maria del Bosco di Bisaquino Don Refrigerio da Lodi, a Palermo nello studio del notaio Giacomo Capobianco, fu stipulato l’accordo per la costruzione in Marineo di un Monastero residenza dei Padri Olivetani e di una chiesa per l’esercizio parrocchiale. Le costruzioni dedicate a S.Maria, nel giro di poco tempo erano in condizioni di potere essere utilizzati, infatti il primo registro parrocchiale dove sono registrati battesimi e matrimoni amministrati nella chiesa di S.Maria, porta come prima data 22 Novembre 1556 giorno in cui fu battezzata Laura Di Trapani.
Il Monastero e la chiesa annessa, furono fatti costruire, dai monaci, accanto alle abitazioni su una balza rocciosa poco elevata che dominava il caseggiato di allora. La chiesa rimase attiva per l’esercizio parrocchiale fino al 1562, anno in cui fu aperta al culto l’attuale Matrice fatta edificare dal Barone Gilberto.
Dieci anni dopo, nel 1572, il nuovo abate del Monastero di S.Maria del Bosco, Matteo D’Aversa, ha richiamato i monaci e venduto il Monastero di Marineo al Marchese Gilberto. Operazione che fu condannata e disapprovata dal Papa e dal Generale dell’ordine degli Olivetani che ha ordinato, al successivo abate, di rimandare i monaci a Marineo, ma questi, ritornati in paese, trovarono alla guida della parrocchia i sacerdoti secolari (chiamati dal Marchese Gilberto) e il primo parroco, nominato nel 1573 dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Marullo.
Gli Olivetani rimasero nel Monastero, a svolgere il loro ministero, fino al 1784 quando furono richiamati definitivamente e dopo due anni, la chiesa, ormai chiamata del Crocefisso per l’originale scultura che si trova nell’interno, con Reale Dispaccio del 13-5-1786 divenne di regio diritto e affidata al parroco. Nel 1866, il monastero, che per vari decenni era stato utilizzato per fini sociali, e la chiesa, furono occupati dai militari e nel 1870 confiscati per essere usati come deposito.
La chiesa venne spogliata di tutti gli arredi sacri compreso il cinquecentesco altare maggiore in marmi policromi che fu rimontato nell’Oratorio dei Mastri dove ancora si trova, mentre il Crocefisso e la statua di S.Pietro furono sistemati nella chiesa di S.Anna.
La riapertura al culto della chiesa, da parte dell’Arciprete Salvatore Fiduccia, avvenne alla fine del secolo e nell’anno 1900 si inizia il riordino dell’interno. Furono reclamate tutte le opere di cui la chiesa era stata spogliata, ma dopo vari contrasti la sola opera che ritornò nel luogo d’origine fu il Crocefisso. Le altre opere che attualmente si trovano nell’interno della chiesa, furono realizzate con i contributi dei fedeli.
Il MONASTERO, nel 1898 con atto di compravendita n.2654 del 23-Luglio, fu acquistato dall’Amministrazione Provinciale di Palermo e fino al 1976, fu adibito a caserma dei carabinieri e poi a scuola. Dal 1988 è sede della fondazione G.Arnone. Dichiarato inagibile nel 1997, è in attesa di restauro.
Tutto il complesso e soprattutto il Monastero che è stato adibito a vari usi, internamente, ha subito delle modifiche che però non hanno intaccato la struttura portante. Presenta le stesse caratteristiche di quelle del palazzo costruito tre anni dopo e come nel palazzo si possono ancora notare, nei vari ambienti, spesse mura e possenti volte a botte che sono state realizzate anche con pianelle di pietra e malta. Data la posizione dell’edificio innalzato su un terreno in pendio, tutto il complesso si sviluppa in più piani digradanti rispetto alla piazza antistante. Nella planimetria della figura 27, si è cercato di presentare la costruzione così come era stata realizzata dai monaci nel 1556.
Si entrava nel Monastero dall’ingresso attuale che sta a destra guardando il prospetto della chiesa, ci si trovava in un lungo e spazioso corridoio con copertura a botte a tutto sesto e un’ampia finestra nella parete di fondo. Nella parte estrema della parete di sinistra, si trovava un’apertura che metteva in comunicazione il monastero con la chiesa, mentre lungo il lato di fronte all’ingresso, si possono ancora vedere le singole celle (anche con volte a botte) per i monaci. Dall’estremità destra del corridoio, oggi, si accede in un vasto ambiente ricostruito. Con molta probabilità, questo lato del monastero, nell’ottocento, è stato danneggiato dalla frana per cui non possiamo sapere come, in origine, era suddiviso e quali ambienti vi si trovavano. Nella originaria parete della cella adiacente si può ancora vedere la base da dove partiva la volta a botte dell’ambiente.
Da una delle celle della parte centrale del corridoio, attraverso una scala, si può scendere nei piani inferiori che tranne lievi modifiche, presentano ancora la struttura originaria. Si trovano ambienti angusti e ambienti spaziosi ma poco illuminati, anche questi sono coperti da volte a botte. Nell’ambiente più vasto del lato est del monastero, si trova una botola con scala che portava alla strada adiacente al lato nord dell’edificio. Sempre nel lato nord si trovano tre ambienti di cui due, quando il monastero fu usato come caserma, furono adibiti a celle carcerarie. La volta a botte dell’ambiente più grande che si trova sotto il pavimento della chiesa, ha alla base una cornice cinquecentesca, è decorata con modanature lineari e poggia su un grosso pilastro a sezione quadrangolare aggiunto nell’ottocento quando per la frana si è temuto il crollo della volta. Quest’ultimo ambiente che si trova sotto il presbiterio, in origine, funzionava da cripta ed era in comunicazione, con la chiesa, mediante una scala attualmente murata.
LA CHIESA presenta ancora degli elementi originari scampati ai restauri e modifiche (interni ed esterni di questi ultimi decenni) che hanno sanato la struttura muraria, mantenuto efficiente il luogo religioso e creato altri ambienti. I vari elementi architettonici originali che oggi la chiesa presenta, mettono in rilievo la semplicità e la struttura lineare della costruzione che si inquadra in quella schiera di architetture artisticamente modeste di cui, dobbiamo dire che, Marineo è ricca. L’importanza del complesso, più che artistica, è soprattutto storica.
Esternamente la chiesa presenta un semplice prospetto principale a capanna (con ingresso e un’ampia finestra unica sorgente di luce per la navata interna) e due campanili di cui uno posteriore incorporato alla costruzione e uno anteriore accostato al prospetto principale. Trovare due campanili in una chiesa di non ampie dimensioni come questa, è un fatto piuttosto insolito, ma in questo caso, è legato all’ampliamento del paese.
Quando la chiesa fu costruita, il primo campanile fu collocato nella parte posteriore dell’edificio perché questo era il lato che guardava verso il paese ed essendo, la chiesa, più alta dell’abitato del tempo, non fu necessario realizzare un campanile sviluppato in altezza. Nel secolo successivo quando il paese cominciò ad estendersi verso Sud-Ovest, nasce la necessità di un secondo campanile che fu realizzato con tre elevazioni e con volte a crociera superando la quota del corpo chiesa. Dato che la sua realizzazione è successiva, il nuovo campanile, si trova distaccato dal prospetto.
Internamente la chiesa è ad unica navata di metri 20×6 e ha la copertura a botte a tutto sesto con teste di padiglione ed è articolata da semplici pennacchi. Il presbiterio con copertura a padiglione, è separato dalla navata, da un semplice arco trionfale.
Sull’ingresso c’è un arioso loggiato, rimaneggiato e sostenuto da otto colonne ioniche in muratura di cui solo due portanti e sei finte addossate alle pareti, è illuminato dalla grande finestra del prospetto principale.
Lungo le pareti laterali, dopo la riapertura della chiesa, con le offerte degli emigrati nel 1903 sono state realizzate, nelle uniche due cappelle, gli altari in marmo grigio ornati da semplici decorazioni floreali. Entrambe le cappelle sono dedicati alla Madonna. In quella di destra, dentro la nicchia, trova posto la statua della MADONNA DI FATIMA arrivata a Marineo il 28 agosto 1946 per interessamento del Sig. Arnone e moglie che per decenni hanno avuto cura della chiesa; sotto la mensa, in senso orizzontale, è collocata un’immagine, in gesso, di S.ROSALIA. Nella cappella di sinistra, sempre dentro la nicchia, trova posto la statua in cartapesta dell’ADDOLORATA vestita con abito e mantello nero con in testa, un semplice taddema in argento. Sotto la mensa, in senso orizzontale, è collocata una statua della MADONNA che fino ai primi anni del novecento si trovava in una cappella (non più esistente) edificata in contrada “Branno”.
La scala che conduceva alla cripta usata, nel secolo scorso, come cella carceraria, si trovava sul pavimento lungo la parete destra prima di arrivare all’arco trionfale.
Secondo quanto riporta il verbale di apertura della chiesa redatto nell’anno 1900, le dimensioni della navata di allora coincidono con quelle attuali, ma il presbiterio aveva tre aperture, quella di destra permetteva il passaggio nel corridoio del Monastero e quella di sinistra immetteva in un lungo balcone coperto che conduceva, da un lato, al nuovo campanile e dall’altro al prospetto posteriore della chiesa da dove, mediante un passaggio si arrivava dietro l’altare principale della chiesa. Il balcone era chiuso con tettoia di cui esistono ancora delle tracce sulla parete esterna. Il vasto ambiente che attualmente si trova oltre il nuovo campanile e l’attuale sacrestia, furono realizzati negli anni sessanta del novecento.
Nella parete di fondo della chiesa, in una grande nicchia, è collocato il CROCEFISSO in legno dipinto del XVI secolo di autore ignoto. La composizione si articola dentro una forma circolare. E’ una immagine che sembra rozza e grossolana, con braccia lunghe e mani e piedi sproporzionati rispetto al resto della figura.
Dal punto di vista estetico si presenta piuttosto complessa e di non facile comprensione a causa dei suddetti elementi che sembrerebbero difetti formali, ma che invece contribuiscono ad accentuare il dramma della Crocifissione.
Non si sa di preciso se è stata realizzata a Marineo o se proviene da fuori. Secondo la tradizione la realizzazione dell’opera è dovuta a uno dei monaci Olivetani e si racconta anche che il monaco, dopo avere scolpito il corpo di Cristo, si sia trovato in difficoltà nel realizzare il volto che ha trovato scolpito, per miracolo, il giorno successivo.
La certezza che oggi abbiamo è che ci troviamo di fronte all’opera di uno scultore autodidatta che, come tutti gli scultori con un innato talento artistico e che si sono formati da se, ha una propria interpretazione riguardo alle proporzioni della figura umana. La scultura rivela che l’autore era dotato di quell’estro creativo capace di imprimere, nella sua opera, quelle caratteristiche particolari che permettono di riconoscerla come un genuino frutto della creatività della mente umana, al di fuori di qualsiasi influenza esterna.
E’ una scultura che, come tutte le opere d’arte, suscita emozioni e possiede un fascino tutto particolare. In un primo momento fa paura, in un secondo attira il visitatore con una forza magnetica tale da affascinarlo al punto di volere a tutti i costi scoprire il mistero: più l’osservatore contempla più si sente attirato.
Significativo si presenta il volto rappresentato nel momento in cui Cristo sta per spirare, esprime sia la tensione nervosa dell’ultimo momento vitale sia l’invito a partecipare al suo immane dolore rivelato dagli occhi semichiusi e dalla bocca aperta. Uno stato d’animo completamente diverso da quello che esprime l’immagine del Crocefisso della chiesa di S.Antonino.
L’opera rispecchia in pieno il momento più drammatico della Crocifissione e da questo punto di vista, si presenta come la più significativa scultura del paese.
Sotto il Crocifisso, distaccato dalla parete, in origine si trovava l’altare principale in marmi policromi che oggi si trova nell’oratorio dei Mastri. L’altare attuale risale al 1900, donato dalla famiglia Di Salvo, quando la chiesa fu riattivata. E’ stato realizzato in marmi policromi, ed è decorato con pannelli rettangolari a rilievo che presentano i simboli della Crocifissione: i dadi con i quali i soldati tirarono a sorte la tunica di Cristo, la corona di spine e i chiodi.
Prima degli ultimi restauri del 1984, nelle pareti laterali del presbiterio, si trovavano due grandi tele ad olio di stile neoclassico, realizzate nell’ottocento da autori ignoti. Per il momento si trovano depositati in sacrestia in attesa di restauro e di nuova sistemazione. Sono in uno stato di degrado avanzato per cui necessitano di un urgente restauro per salvare quello che resta. Raffigurano: una il SACRIFICIO DI ISACCO e una la MADONNA, S.CIRO E S.ROSALIA (Fig.31).
Quest’ultima a causa di una non regolare conservazione e soprattutto di una carente preparazione della tela, si è molto deteriorata, tanto che le figure non si distinguono chiaramente perché, in alcune zone, il colore si è staccato completamente e in altre è ossidato.
E’ un’opera di discreta fattura e presenta una tipica composizione piramidale. La figura della Madonna occupa la parte alta del dipinto ed è rappresentata su una nuvola con la mezza luna e le mani sovrapposte sul petto.
Sulla sua destra si trovano due angeli di cui uno addita la Madonna e l’altro sostiene un giglio, simbolo riferito alla stessa Madonna che è circondata da teste di putti con a centro la colomba dello Spirito Santo. Il movimento e la posizione dei putti, rievocano gli scorci del secolo precedente.
In basso sulla destra l’attenzione è attirata dalla figura di S.Rosalia in estasi nel contemplare la Vergine in gloria. La Santa è riconoscibile dalla corona di rose sulla testa e dal volto grazioso, delicato e raffinato che come bellezza supera quello della Madonna; è rappresentata seduta, in posizione frontale e con la mano destra poggiata sul petto.
S.Ciro che occupa la parte di sinistra, è rappresentato di profilo con le braccia aperte su una linea obliqua che accentua l’atteggiamento di meraviglia del Santo mentre contempla la figura della Vergine.
Al centro di queste due ultime figure, in primo piano, si distingue quella sorridente e paffuta di un putto che ha la mano destra poggiata su un libro con la scritta “S.Ciro” e tiene, con la sinistra, la palma del martirio. A causa del deterioramento della tela, soprattutto nella parte centrale, non è possibile distinguere altri particolari.
Su questa opera non si hanno notizie storiche; possiamo solo dedurre, dalla presenza della figura di S.Ciro, che la tela fu realizzata per Marineo.
Dopo la riattivazione, la chiesa è stata decorata con sei pitture su tela applicate sulle pareti e realizzate, nei primi anni del novecento, da un autore che li ha firmate con una sigla non facilmente decifrabile. Tre li troviamo nella volta: VELO DELLA VERONICA, la DEPOSIZIONE e LA RESURREZIONE; una sull’arco trionfale con due angeli che reggono un festone con la scritta “Redemptor Omnium”; un’altra nella parte alta della parete di fondo con la figura del PADRE ETERNO e un’altra ancora nella nicchia del Crocifisso con le figure della MADONNA E DELLA MADDALENA.