Chiesa Madre

Chiesa di Santa Maria

Descrizione

La chiesa di S.Maria, per le sue modeste dimensioni, non era sufficiente per potere accogliere i fedeli sempre più numerosi. Di questo il Marchese Gilberto se ne era reso conto subito dopo la edificazione del monastero e, mentre si costruivano le case e il palazzo, pensò anche alla edificazione della nuova Matrice che fu eretta in periferia in un punto pianeggiante che meglio si prestava ad una così vasta costruzione. La chiesa fu dedicata a S.Giorgio e poi, nel 1665 a S.Ciro.
Il Marchese Gilberto Beccadelli si impegnò al massimo in quest’opera e nel costruirla, non solo pensò alle esigenze della popolazione del suo tempo, ma anche a quelle delle future generazioni, infatti, ancora oggi, per quanto riguarda le dimensioni e quindi la capienza, la Matrice è sufficientemente capace.
Ha voluto realizzare qualcosa di grande in perfetta coerenza con i canoni della corrente artistica del suo tempo. Ha impegnato le maestranze e gli architetti più rappresentativi a disposizione nell’ambiente per creare un’opera con caratteristiche tardo rinascimentali mantenute fino agli inizi del XIX secolo quando fu trasformata nelle attuali forme che richiamano quelle neoclassiche e tardo settecentesche. Nonostante tutto, la Matrice, rimane sempre il monumento esteticamente e artisticamente più valido di tutto il paese.
La slanciata volta a botte; le robuste colonne monolitiche cavate dalla viva roccia, probabilmente di Rocca Busambra; gli archi poggianti sulle colonne; la pianta a croce latina; l’ampiezza della chiesa che, oggi, ha una cubatura di 4518 metri, una superficie di 490 metri quadri con la navata centrale di metri 56×6,50; le tre navate; le volte a crociera delle navate laterali e l’abside; tutti elementi visibili in origine, ci fanno capire che il massimo monumento religioso e architettonico di Marineo, si inseriva perfettamente nel contesto artistico cinquecentesco. Ma la sovrapposizione degli elementi di stile diverso avvenuta nella prima metà dell’ottocento, purtroppo, ha degradato in modo irreversibile l’artistico monumento.
La storia della nuova Matrice di Marineo oggi si presenta piuttosto complessa e non semplice da ricostruire per il fatto che molto poco è stato documentato sul susseguirsi delle varie modifiche, interne ed esterne, effettuate nei secoli successivi alla sua edificazione. Per il momento la documentazione su cui si può attingere e da cui si può avere un certo quadro storico e cronologico della costruzione, ci viene presentata proprio dalla stessa opera nella sovrapposizione degli elementi architettonici e decorativi di vari stili ben visibili in tutto l’ambiente interno. La sola notizia storica dell’archivio parrocchiale riguardante la Matrice, possiamo trovarla nel registro in cui sono registrati battesimi e matrimoni, a cominciare dal 1562, venivano celebrati nella chiesa di S.Giorgio e non più in quella di S.Maria.
Della primitiva configurazione strutturale cinquecentesca, ultimata nel 1562, si vede ben poco. Originariamente la chiesa aveva un aspetto completamente diverso da quello odierno. Ma prima di parlare di questo, esaminiamone le odierne principali caratteristiche.

La Matrice sorge su un basamento rialzato adibito, in parte, a catacomba. La sua forma esterna è molto comune: tre navate (di cui quella centrale più alta) con copertura a spioventi ed il campanile sormontato da una piccola cupola. Sulle coperture delle navate laterali, in corrispondenza delle estremità superiori delle campate, poggiano dei robusti contrafforti ad arco rovesciato aderenti alla copertura delle navate laterali e alle pareti esterne della navata centrale, la loro funzione è quella di contenere la spinta laterale della volta.
Il prospetto principale a “salienti” con una impostazione tardo cinquecentesca, è suddiviso (in senso verticale) da due zone sovrapposte, decorate entrambe da coppie di lesene neoclassiche scanalate a spigolo smussato con capitelli ionici (quelli della zona inferiore) e corinzi (quelli della zona superiore). Questa ultima zona, innalzata sulla parte centrale di quella sottostante, si conclude con un frontone che racchiude, nel timpano, la corona con le palme: simbolo del martirio di S.Ciro.
Nel prospetto laterale, dal lato del Corso dei Mille, si può vedere la copia della barocca CERAMICA DI S.CIRO di m.2,10×4,20 circa realizzata a Palermo nella prima metà del settecento da autori ignoti.
Nel XVIII secolo, oltre a dei valenti marmorari che hanno arricchito di decorazioni a rilievo e ad intarsio chiese e palazzi, a Palermo e in altre città siciliane come Caltagirone e Trapani, hanno operato anche valenti ceramisti autori di una vasta produzione di piatti, vasi di varie forme per molteplici usi (numerosi sono quelli eseguiti per le farmacie come contenitori di farmaci) e mattonelle con semplici decorazioni floreali e geometriche, istoriate e figurate per rivestire pavimenti o pareti come nel nostro caso.
L’opera di Marineo è composta da mattonelle quadrate di cm 20×20 circa e raffigura il Santo che regge un libro nella mano destra e nella sinistra, poggiata sul petto, la palma. La statica figura che si erge su un piedistallo, è rappresentata in posizione di riposo con la gamba destra piegata ed è vestita da un doppio panneggio formato da una veste che arriva all’altezza delle cosce e da un mantello che avvolge parte della figura soprattutto dal lato destro. Ai piedi porta leggere calzature di foggia romana. S.Ciro è collocato dentro una nicchia coronata da un arco a tutto sesto e fiancheggiata da due stipiti decorati da lesene e da motivi floreali.
Nella parte inferiore, incorniciata da motivi decorativi barocchi, c’è una lapide rettangolare su cui si legge: “Divo Ciro egregio martire di Cristo patrono dei Marinesi”.
Al disopra della nicchia, fiancheggiata da putti alati, si trova una bizzarra decorazione formata da elementi tipicamente barocchi che rispecchiano in pieno lo stile del tempo riscontrabili anche nel coevo altare, del medesimo Santo, collocato all’interno della chiesa, alle spalle della ceramica.
La prevalenza degli elementi architettonici, nello spazio attorno alla figura del Santo, rivela (nella fase di progettazione dell’opera) l’intervento di un architetto che ha curato il disegno. Fino a questo momento, riguardo agli autori, non si sono trovati elementi che ci possono permettere una giusta attribuzione, una ipotesi, alquanto discutibile, è stata avanzata solo per quanto riguarda l’esecutore delle mattonelle.
Come tutte le opere d’arte poste all’esterno, anche questa, dopo quasi tre secoli dalla sua realizzazione, è stata colpita dall’inquinamento: il cancro, da tempo, aveva attaccato le mattonelle provocando lo stacco dello smalto. Il fenomeno che negli anni ottanta del novecento era agli inizi, nell’anno 2000 si trovava in una fase avanzata, le piccole chiazze di colore mancante si erano allargate e senza un idoneo intervento, in breve tempo, sarebbero diventate sempre più grandi e avrebbero invaso tutta la ceramica. Oltre allo stacco dello smalto si era presentato anche il dissestamento delle mattonelle con il rischio di staccarsi dalla parete e frantumarsi a terra. Finalmente dopo vari appelli, dopo l’interessamento delle Amministrazioni Spataro e Pernice prima, e Corrado dopo e con il finanziamento della Regione, nel mese di agosto dell’anno 2000, sono state staccate le mattonelle in ceramica per essere restaurate. Era stato accolto anche il suggerimento avanzato sulla prima edizione del presente volume del 1998, di applicare, al posto della ceramica del settecento, una copia (già collocata nello stesso mese di agosto) della medesima e sistemare, l’originale, in un luogo riparato. Purtroppo nel maggio del 2001, è stata staccata la copia e ricollocata la ceramica originale restaurata, decisione che certamente non è stata quella più conveniente per la buona conservazione dell’opera.
Accanto alla ceramica trovasi un ingresso per accedere agli uffici parrocchiali, la porta è stata aperta dall’arciprete Inglima agli inizi del nostro secolo. Si presume che l’attuale scala sia stata realizzata ampliando una preesistente scaletta interna che conduceva nella zona catacombale.
Internamente la Matrice ha una pianta a croce latina con tre navate, sei campate e il transetto. La navata centrale, limitata da pilastri, è più alta delle due laterali ed è coperta da una volta a botte con arco a tutto sesto poggiante su un cornicione aggettante cinquecentesco con semplici beccatelli. La volta ha un accentuato slancio verticale dovuto al prolungamento delle sue basi verso il cornicione, ed è decorata da tre file di pannelli a stucchi con motivi floreali racchiusi da doppia cornice con ovuli. I pannelli delle due file laterali di forma rettangolare, presentano tutti lo stesso motivo decorativo, mentre quelli della fila centrale di forma quadrangolare, presentano motivi diversi l’uno dall’altro.
I pannelli, dentro lo spazio rettangolare delle campate, sono raggruppati a tre a tre formando, lungo la superficie della volta, varie terne che sono separate da fasce (con file di rosette) che, estendendosi da una base all’altra della volta, racchiudono anche le finestre dalle quali filtra la quantità di luce sufficiente per esaltare in modo perfetto la qualità degli stucchi dorati.
Gli stucchi della volta centrale compresa la raggiera della parete di fondo, tranne quelli della cupola, sono stati realizzati e applicati da Francesco Grasso di Marineo tra il 1860 e il 1870.
Le campate delle navate laterali sono coperte da ampi cassettoni quadrangolari che racchiudono pannelli anch’essi quadrangolari ma di dimensioni più ridotte. I pannelli racchiudono stucchi fatti ad imitazione di quelli della volta centrale e presentano motivi decorativi diversi l’uno dall’altro. Tutti gli stucchi delle navate laterali compresi quelli delle cappelle, sono stati realizzati e applicati da Domenico Guarino di Campofelice di Fitalia (scolaro di Antonino Cangialosi genero di Francesco Grasso), tra il 1923 e il 1927.
Nell’incrocio della navata centrale e di quella trasversale, vi è la cupola visibile solo dall’interno della chiesa. Si presenta priva di lanterna, con calotta e uno stretto tamburo dove si legge in latino: “Chi violerà il tempio del Signore sarà da Lui disperso.” La calotta è decorata con riquadri a stucco disposti simmetricamente, ognuno dei quali racchiude un motivo floreale. I riquadri sono stati applicati da un nipote di Francesco Grasso, Domenico Cangialosi figlio di Antonino, lo stesso che con gli stessi motivi ha decorato il catino absidale della cappella del S.Cuore demolita nel 1963 quando tutta la cappella fu spostata più avanti nella posizione attuale. E’ stata realizzata da Domenico Cangialosi anche la raggiera che si trova nella nicchia del fonte battesimale.
Sui quattro pennacchi che collegano la cupola ai pilastri principali, nella seconda metà dell’ottocento, da autore sconosciuto, sono state affrescate le figure dei quattro Evangelisti con i rispettivi simboli. Buone le composizioni delle figure di stile neoclassico che bene si inseriscono nelle forme triangolari dei pennacchi.
Nella prima campata della navata centrale dopo la cupola, si trovano, lateralmente (dove attualmente sono collocate le canne dell’organo), due matronei con volta a crociera e archi a tutto sesto che si affacciano nella navata. Uno, quello di sinistra, è ancora intatto grazie al fatto che ospita le canne dell’organo fatto collocare da Mons.Raineri agli inizi degli anni trenta del novecento. Dell’altro, è rimasto solo l’arco a tutto sesto visibile dalla navata.
I matronei erano dei vani della chiesa destinati alla nobiltà che anche durante le funzioni religiose non gradiva mescolarsi con il popolo. In realtà questi piccoli ambienti furono usati nelle prime chiese cristiane e generalmente venivano riservati alle donne. Nel XVI secolo quando fu costruita questa chiesa, erano già fuori moda e quelli che venivano realizzati, erano ridotti e avevano una funzione semplicemente decorativa come quelli che troviamo nella chiesa del Collegio. A quanto pare, però, dalla la loro dimensione e posizione, i matronei della matrice, erano funzionanti e utilizzati per assistere alle sacre liturgie.
La navata centrale, oggi, è suddivisa in sei campate, originariamente era composta da cinque: quattro dall’ingresso alla navata trasversale e una oltre che racchiudeva il presbiterio con l’altare maggiore e l’abside. Nella prima metà dell’ottocento, l’aggiunta della sesta campata a prolungamento del presbiterio, ha creato una certa disarmonia nell’estetica della composizione interna della costruzione, ma ha esteso la navata aumentando la capienza della chiesa.
Della modifica non esistono documenti scritti, ci viene rivelata solo dai vari elementi decorativi e architettonici visibili nell’interno della chiesa: nella volta centrale si notano quattro fasce rettangolari sporgenti poste trasversalmente che fanno parte della struttura portante e quindi nate con essa. Una fascia la troviamo sull’ingresso principale (anche se è poco evidente per la sovrapposizione della successiva decorazione), due delimitano la cupola e un’altra tra la cupola e la parete di fondo. Secondo la disposizione questa ultima fascia chiudeva, in origine, la navata centrale.
Inoltre la modifica si è notata anche quando Mons.Raineri ha fatto erigere nel 1967, in seguito alle nuove disposizioni liturgiche del Concilio Vaticano II del 1962, il nuovo altare centrale. Durante gli scavi, per rifare tutto il pavimento della chiesa (secondo le informazioni raccolte), sono venuti alla luce, proprio in corrispondenza della fascia rettangolare che delimita la prima campata dopo la cupola, resti di un consistente muro con abside che originariamente doveva arrivare alla volta delimitando così da questo lato la navata centrale.
E ancora c’è da notare che i tiranti in ferro collocati durante la costruzione della chiesa, si trovano solo nella parte della volta originaria.
A supporto di questa tesi c’è anche la presenza dei matronei la cui posizione doveva essere in un punto da dove comodamente si poteva assistere alle sacre liturgie.
Riguardo alle altre modifiche presenti nell’interno della chiesa, dobbiamo prendere in considerazione due fattori essenziali: la presenza di elementi tardo settecenteschi e neoclassici nella composizione cinquecentesca della struttura e la frana dell’anno 1800 che ha distrutto la chiesa di S.Antonio Abate e buona parte del quartiere a questo Santo dedicato.
Dietro questa dolorosa esperienza, anche se la chiesa non ha mai subito danni per calamità naturali, i marinesi hanno pensato ugualmente di salvaguardare il più importante monumento religioso del paese consolidandone le strutture portanti verticali e orizzontali della navata centrale. Nelle navate laterali, invece, per conformità di stile, i lavori furono solo di carattere estetico e quindi sono state coperte le crociere.
E’ questo il motivo per cui oggi, come elementi di sostegno, troviamo massicci pilastri e architravi, ma al loro posto, in origine, si trovavano colonne e archi a tutto sesto.
La certezza di questa affermazione ci viene data da due fonti ineccepibili: l’opuscolo sulla festa di S.Ciro e i lavori di restauro del 1992.
Nell’opuscolo sulla festa di S.Ciro, conservato nella biblioteca comunale di Palermo, fatto stampare dalla Congregazione nel 1746, si legge che nella chiesa, allora erano visibili archi e colonne.
Nel 1992 scrostando la parte inferiore di una faccia di uno dei pilastri della navata laterale di destra, è venuta alla luce la estremità inferiore di una colonna monolitica di ordine tuscanico, di colore avorio, proveniente, probabilmente, dalle cave di Rocca Busambra e poggiante su un basamento cubico anche monolitico di cm.80 di base per 50 di altezza. La robusta colonna realizzata nel Cinquecento, è fornita di base con tori e trochilo (Fig.42).
I restauri ci hanno rivelato anche la poca delicatezza usata nell’imprigionare la colonna dentro gli attuali pilastri: per ridurre di pochi centimetri le dimensioni del pilastro, i nostri predecessori, hanno scheggiato con lo scalpello parte della superficie della colonna riducendone il volume e interrompendone la circonferenza. Trattamento che forse hanno subito anche le altre colonne, per averne la certezza, si dovrebbero effettuare dei saggi.
Inoltre, sempre durante gli stessi lavori di restauro, è venuta alla luce una nicchia di cm 80 x 80 e 180 circa di altezza, coronata da un arco molto scemato fatto con mattoni in terracotta del tipo di quelli usati nel periodo rinascimentale.
La nicchia contiene una vasca a forma rettangolare di cm 80 x 55 x 15, in pietra rossa proveniente, sembra, dalla zona del lato est di Rocca Busambra. La vasca presenta: sul bordo superiore, delle decorazioni lineari incise; al centro, un buco dal diametro di 13 cm circa collegato con un tubo in terracotta che scarica in una condotta e nell’angolo sinistro, un secondo buco più piccolo del precedente.
Enigmatica si presenta la comprensione di tale elemento. Dalle decorazioni incise si evince che la vasca è stata realizzata nel tardo cinquecento e per dimensioni poteva essere adibita sia come acquasantiera che come fonte battesimale, i due fori al centro e all’angolo, considerando il modo rozzo e rudimentale della manifattura, sono stati aperti in un periodo successivo; la nicchia, forse è stata murata durante i lavori di modifiche della chiesa nella prima metà dell’ottocento; per cui la vasca, era un elemento funzionante prima del 1800. Ci si chiede: A che cosa serviva tale vasca in una nicchia all’ingresso laterale della chiesa?
Data la conformazione ristretta e incavata della nicchia, la vasca non poteva essere usata come fonte battesimale e con lo scarico e il buco nell’angolo, non poteva neanche essere usata come acquasantiera. C’è da dire però che come detto, i buchi sono stati praticati in epoca successiva alla sua realizzazione e pertanto si può ipotizzare che in origine, la vasca veniva adoperata come acquasantiera all’ingresso laterale della chiesa dato che, esattamente nel lato opposto, esisteva un’altra nicchia identica, con la stessa funzione, trasformata ad ingresso, nel secolo scorso quando fu realizzato il terrazzino esterno dal lato del Corso dei Mille. Dopo l’apertura dei buchi, la vasca, potrebbe essere stata usata come lavandino. Le due acquasantiere attuali, sono di stile neoclassico e quindi collocate nella seconda metà dell’ottocento dopo le modifiche.
La scoperta della colonna e della nicchia con la vasca nel 1992, si è rivelata di un certo interesse per la conoscenza del curriculum storico del nostro paese, ma soprattutto ha contribuito a farci meglio comprendere come era la chiesa fatta costruire da Gilberto Beccadelli e ci ha rivelato anche due situazioni contrastanti del nostro passato: da una parte, la delicatezza e la cura dei nostri antenati del cinquecento nell’edificare la nuova Matrice con le colonne cavate dalla viva roccia e trasportate con grande fatica a Marineo e dall’altra, il danneggiamento irreversibile di tali elementi di sostegno, da parte dei nostri predecessori dell’ottocento.

Nella copertura delle navate laterali oggi si trovano ampi cassettoni quadrangolari della stessa ampiezza delle rispettive campate; in origine si vedevano le crociere (elementi portanti assieme agli archi) come oggi possiamo ancora vedere nella volta di uno dei matronei non ancora manomesso, la copertura del matroneo non è altro che una parte della copertura della corrispondente navata laterale. A rivelarci la presenza delle crociere sono anche i tiranti in ferro che affiorano dagli architravi che congiungono i pilastri alle pareti.
I tiranti posti alla base della volta centrale, hanno una loro funzione ben precisa: servono ad evitare che la volta con il suo peso si possa aprire e spingere le pareti verso l’esterno; gli stessi elementi posti sotto gli architravi, come nelle navate laterali, non hanno nessuna funzione. Ciò significa che gli elementi in ferro delle navate laterali, non fanno parte degli attuali architravi che sono fittizi, ma degli archi che sostengono le crociere che oggi sono nascosti dai cassettoni.
Da quanto detto possiamo ben capire che la chiesa in origine era completamente diversa da quella odierna: con colonne al posto di pilastri, con archi al posto di architravi, con crociere al posto di cassettoni e con abside in fondo alla navata centrale. Per la prima volta, in base alle poche notizie storiche e agli elementi strutturali e decorativi esistenti, si è cercato di fare una ricostruzione grafica della Matrice Beccadelliana così come è stata ultimata nella seconda metà del XVI secolo.
Riguardo alle modifiche effettuate nell’interno della chiesa, come detto in precedenza, non esiste una documentazione da cui si possono ricavare cause, date e ordine; per cui, per saperne di più, oltre ad esaminare i vari elementi decorativi e strutturali della chiesa, dobbiamo anche scrutare nella storia della parrocchia.
Se la decorazione a stucco della volta, come si apprende dalle didascalie sotto i ritratti dei Parroci, è stata fatta nel decennio 1860-70, vuol dire che a questa data la chiesa era stata già prolungata. Infatti in tutta la decorazione della volta esiste una unità nella maniera e nella esecuzione da farci intuire che è stato unico l’ideatore e unico il periodo di realizzazione.
La causa invece dell’ampliamento del presbiterio, è da ricercare nell’elevato numero di sacerdoti del tempo. Il censimento del 1748, ne registrava sessanta a Marineo. I lavori di ampliamento, a quanto pare, iniziarono in occasione del consolidamento della chiesa dopo la frana dell’anno 1800 e di seguito furono anche effettuati i lavori di modifica di tutto l’interno per uniformare tutta la chiesa ad un unico stile che alla fine è risultato completamente diverso da quello originario. L’ultima opera di modifica più consistente è stata la copertura delle crociere delle navate laterali.
Sappiamo inoltre, sempre attraverso le didascalie, che i Parroci che fecero eseguire più lavori nella chiesa furono: Mons. Ignazio Valenti dal 1808 al 1837; Mons. Emanuele Arcoleo dal 1840 al 1866 e Mons. Andrea Oliva dal 1866 al 1873. Dietro interessamento di quest’ultimo, furono ultimati gli stucchi della volta centrale.
Dopo le modifiche sono stati realizzati, in stile neoclassico, l’arredamento del presbiterio formato da due file di stalli per lato con, a destra, il sedile principale ancora esistente; il pulpito addossato al pilastro principale di destra e le transenne in marmo bianco e verde che separavano il presbiterio dal resto della navata centrale. Tutti elementi che fino al 1955 esistevano ancora Fu Mons. Raineri che, per meglio raccogliere i giovani delle varie associazioni dentro il presbiterio, li fece togliere.
Oltre al sedile principale di destra, dell’arredamento del presbiterio, oggi restano: i due pannelli in legno ancora ancorati alle pareti; qualche sedile che troviamo al Convento; l’altare maggiore nella parete di fondo in marmo verde e rosso con un rilievo sulla cena di Emmaus nel paliotto e il grande Crocefisso in legno del tardo settecento, dipinto nel secolo successivo, collocato nella parete di fondo sull’altare.
Anche il prospetto principale ha subito un primo rimaneggiamento nell’ottocento, presenta gli stessi elementi neoclassici dell’interno.
Con le modifiche e le aggiunzioni, oggi, la chiesa non si presenta con le stesse proporzioni armoniose del XVI secolo, ma neanche con un aspetto sgradevole, a parte i massicci pilastri che appesantiscono e contrastano con l’insieme, troviamo una decorazione a stucco di un certo valore soprattutto quella della volta centrale. Stucchi che forse pochi marinesi riescono ad apprezzare, non per mancanza di capacità di percezione, ma perché li abbiamo visti fin da piccoli e continuiamo a vederli alla stessa maniera, con indifferenza, anche da grandi. Non c’è mai stato, con gli stucchi, quel primo impatto capace di suscitare delle emozioni, cosa che, ad esempio, succede ai turisti che vedono la chiesa per la prima volta.
Per capirne veramente il valore, dovremmo osservarli come se fosse la prima volta. Notare i particolari e tutti quei motivi floreali e geometrici che ci ricordano quelli dello stile Arabesco e quelli dello stile Liberty (stile, quest’ultimo, che si affermerà qualche decennio più tardi) con qualche reminiscenza Rococò. Si presentano con eleganza e raffinatezza di movimenti e si articolano con grazia dentro le inquadrature delle cornici formando delle composizioni ben definite e ben equilibrate.
I riquadri del soffitto delle navate laterali furono realizzati con lo stesso carattere di quelli della volta centrale, ma non presentano la stessa eleganza e la stessa sintesi, in realtà sono più grossolani, più massicci, meno aggraziati e compositivamente più pesanti. E’ chiaro quindi che questi pannelli come gli stucchi delle cappelle, delle navate, dei pilastri e del presbiterio, sono di mano diversa, infatti sono stati eseguiti e applicati da Domenico Guarino per interessamento di Mons.Raineri tra il 1923 e il 1927, periodo in cui, con gli stucchi della cupola realizzati da Domenico Cangialosi, tutta la decorazione della chiesa fu definita e poi, da Marco Spinella di Marineo, colorata con colori a tempera e indorata con l’applicazione di sottili lamine d’oro.
E’ certo che sia Francesco Grasso che Domenico Guarino e Domenico Cangialosi, nel realizzare gli stucchi della Matrice, si sono ispirati a quelli della chiesa di S.Michele, realizzati attorno alla metà dell’ottocento e a quelli della chiesa di Tagliavia, realizzati da G.Battista Noto nel 1844. Evidenti sono i legami tra gli elementi decorativi delle tre chiese.
A conclusione dei lavori, due lapidi in marmo (non più esistenti) che erano poste tra le canne dell’organo e i pilastri principali, ricordavano: una la conclusione dei lavori e “lo splendore degli stucchi dorati, scintillanti dai riflessi delle lampadine elettriche appena collocate” e l’altra, il finanziamento per i lavori di restauro e di doratura degli stucchi da parte dei Marinesi emigrati in America e che la raccolta dei fondi fu curata dai Signori Oliva e Briganti.
Secondo informazioni raccolte, le lapidi rovesciate e con altre iscrizioni, oggi, sono applicate ai lati dell’ingresso principale della chiesa.

In genere, nel costruire un tempio, luogo di preghiera, la prima considerazione che viene fatta è quella di concepire un ambiente semplice e armonioso che possa suscita serenità e raccoglimento per favorire la comunicazione dell’orante con Dio.
Tale si presentava la Matrice in origine quando tutti gli elementi, componenti l’opera, rispecchiavano il carattere di un unico stile.
Nel corso dei secoli a cominciare dalla collocazione dell’altare di S.Ciro, in stile barocco, nel transetto sinistro, l’armonia dell’ambiente cominciò ad essere turbata e la situazione si aggravò maggiormente quando, a causa della frana, anche se non necessarie perché la chiesa non è stata mai danneggiata da fenomeni naturali, vengono inserite le fredde sagome squadrate a forma di parallelepipedo che separano le navate. Infatti subito dopo, notata la forte discordanza tra gli elementi architettonici, i nostri predecessori hanno cercato di attenuare la disarmonia modificando tutto l’interno e cercando di armonizzare l’ambiente mediante la decorazione a stucchi.
Intento riuscito solo in parte in quanto resta sempre l’accavallamento dei vari stili che, anche se non si disturbano eccessivamente, non raggiungono nemmeno l’armonia originaria.
Per soddisfare esigenze più o meno giustificate, anche nei periodi successivi a questi eventi, la chiesa ha subito modifiche. Mons. Raineri aveva una particolare attenzione per il “Tempio di Dio” come Lui stesso definiva la Matrice, per essa ha fatto molto, ma non tutte le operazioni che ha effettuato nella chiesa avevano il fine di armonizzare e conservare quello che nella chiesa esisteva, più che altro il suo intento mirava ad un fatto logistico oltre che alle varie riparazioni necessarie della chiesa. Il pulpito, il coro e la cappella del Sacro Cuore, sono stati rimossi durante la sua gestione.
Dopo le nuove disposizioni del Concilio Vaticano II, nel 1967, oltre a rifare tutto il pavimento della chiesa, Mons. Raineri aveva fatto collocare, al centro della navata, il nuovo altare centrale, la cui mensa era sostenuta da otto colonnine di marmo rosso. Non era un’opera d’arte, ma, dal punto di vista estetico, non disturbava l’ambiente. Al contrario gli attuali elementi introdotti nel giugno del 1994 in sostituzione dei precedenti, fanno parte a se e non si coordinano con l’insieme, ma quello che maggiormente turba l’ambiente è l’elemento cromatico e il leggio. Anche il rilievo tardo barocco applicato nel paliotto contrasta con la modernità degli elementi compositivi dell’altare. Scultura, questa, che si rivela di una certa importanza, rappresenta la CENA DI EMMAUS dentro una cornice spezzata, intarsiata con marmi policromi e decorata, in basso, da rilievi con motivi rococò. L’insieme delle tre figure, richiamano la classica composizione rettangolare delle cene di Emmaus di vari autori: le due figure degli apostoli ai margini laterali del tavolo e Cristo al centro. Il momento rappresentato, è quello in cui avviene la benedizione del pane. E’ un’opera di buona fattura del settecento e presenta determinati elementi stilistici da farci ritenere che sia stata realizzata a Palermo o nel palermitano.
Anche esternamente, nel corso dei secoli, la costruzione beccadelliana, è stata lesa nella sua originaria armonia. Si ricorda la sovrapposizione delle lesene neoclassiche del 1875 sul prospetto principale e il necessario restauro del 1991 quando tutto l’esterno della chiesa è stato rivestito da un intonaco bianco che non armonizza con il carattere cinquecentesco della costruzione.
Per concludere resta da dire che la chiesa, internamente, ha bisogno di un accurato controllo di tutte le sue varie parti. Ultimamente, nel settembre del 1994, si è staccato uno dei beccatelli del cornicione.
Di una restauro hanno bisogno anche gli stucchi in parte danneggiati dalla infiltrazione di acqua piovana e dall’usura del tempo, molti particolari non esistono più ed è necessario rifarli. E’ da quarant’anni che non si sono effettuati interventi, l’ultimo restauro risale agli inizi degli anni sessanta per interessamento di Mons.Raineri che a sue spese ha fatto restaurare gli stucchi della volta del transetto sinistro.

Modalità di accesso

Accesso libero

Indirizzo

Piazza Saint Sigolene, 1

Ultimo aggiornamento: 13/09/2023, 18:16

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